Ogni volta che conduco una pratica gratuita avviene qualcosa di improvviso. Quella cosa a sorpresa che è la gratitudine. Provo gratitudine: una qualità di gratitudine che è unica e che viene, credo, proprio da quel gratis. Gratis, in latino, è il plurale di grazia. E nella pratica condivisa diventa una esperienza di ricchezza.
Continuerò ad essere una professionista che viene pagata per il suo lavoro ma non posso perdere quell'esperienza di gratitudine che viene dal plurale di grazia: gratis.
Così quando vedo che, per molti, gratis diventa sinonimo di svalutazione, sinonimo di poca importanza capisco che rischiamo di perdere il senso profondo dello scambio tra esseri umani. Uno scambio che è sempre - a livello profondo - gratis. È gratis la gentilezza. È gratis l'attenzione. È gratis la consapevolezza. È gratis e improvvisa la gioia. È gratis la cura. È gratis la bellezza. E questa gratuità è spesso un elemento sottaciuto. Quando non lo riconosciamo nel suo valore è perché abbiamo un incidente di percorso e l'avidità copre il sorgere della gratitudine. Così ci viene voglia di avere di più perché sentiamo che quel gratis è buono. Ma non si può avere più grazia perché la grazia è sazia in se stessa.
E poi, nella gratuità, sperimentiamo qualcosa di perduto.Qualcosa che chiamiamo proprio perché l'abbiamo perduto. E, come dice Agamben (tranquilli è un filosofo laico!), ciò che si perde è di Dio.
Ciò che resta è la lingua della poesia. Una lingua che non dice nulla ma chiama. Il vocativo è quella parte della lingua che non dice nulla ma chiama, anzi interrompe il quotidiano, crea una rottura, è una parte della lingua che non cade nel discorso… Chiama ciò che si perde, ciò che si è perduto, e ciò che si perde è di dio“. Giorgio Agamben
Pratica informale: Oggi facciamo qualcosa di gratuito per coltivare l'improvviso, lo stupore, l'interruzione del quotidiano.
Io faccio qualcosa di gratuito ogni giorno. Il lunedì faccio la pratica gratuita alle 8 su Zoom. Dura circa 20-25 minuti. È bello praticare insieme. Se vuoi unirti a noi clicca qui: Pratica gratuita
Disabituarci al quotidiano
Ieri parlavo con una persona che vuole smettere di fumare. Vuole smettere di fumare da un po’ di tempo. Smette, sta un po’ senza fumare e poi riprende. Ieri non era una soleggiata giornata di giugno. Il tempo era un po’ così e così e a lui, non piace proprio. Un cliente gli ha offerto una sigaretta e lui ha detto “sì, grazie” dopo mesi che non fumava.
Non succede solo per il fumo. Succede per un sacco di altre cose. Siamo consapevoli che qualcosa ci fa male, ci siamo abituati a quel ritmo e non riusciamo a smettere. Oppure riusciamo a farlo per un po’ di tempo ma quando ricadiamo ci riempiamo di critiche interiori aumentando la sensazione di inadeguatezza.
Perché non funziona? Perché non riusciamo ad abbandonare le abitudini che ci fanno male?
Le ragioni per cui non funziona sono tre. La prima è che cerchiamo di cancellare la vecchia abitudine. La vecchia abitudine però ha la forza degli anni passati a praticarla e a trovarla anche consolatoria. Cancellarla sarebbe come spostare il letto di un fiume. Dopo un grande lavoro possiamo anche riuscirci ma alla prima pioggia torrenziale il fiume passerà di nuovo nel solito percorso. Facendo danni perché, nel frattempo, in quel percorso, abbiamo costruito altre cose. Non possiamo cancellare una vecchia abitudine. Possiamo costruire una nuova abitudine da rinforzare con la ripetizione, accanto a quella vecchia. Abbiamo bisogno di qualcosa che ci consoli per sostituire la consolazione di quello che ci fa male. È necessario conoscere a quale bisogno rispondiamo con quella sigaretta per dare risposta a quel bisogno in altro modo. Qualcosa di altrettanto caldo. Poi, ogni tanto, è possibile che sbaglieremo di nuovo. Bastonarci mentalmente non servirà a nulla.
E questa è la seconda ragione: quando vogliamo cambiare tendiamo a vedere gli errori più del processo di apprendimento. A dare peso alla ripetizione del passato più che a nuovi apprendimenti. In questo modo rinforziamo semplicemente l’avversione verso noi stessi e la sfiducia verso le nostre capacità. Il mio amico non si era detto bravo per essere stato senza fumare per mesi, era il minimo che potesse fare ma l’aveva dato per scontato. Non aveva nemmeno valorizzato le nuove buone attività che questo cambiamento aveva comportato. Ma appena ha riacceso quella sigaretta si è comportato come il più severo dei professori: ha fatto una predica infinita a se stesso. Chi vorrebbe dare soddisfazione ad un professore così? Meglio accendersi un’altra sigaretta!
Se non valorizziamo il processo di apprendimento delle nuove risposte, delle nuove abitudini ma lottiamo duramente solo per cancellare le vecchie abitudini non andremo molto lontano. Anche perché più la nostra voce critica interiore sarà forte, più avremo bisogno di vecchie consolazioni. Alla fine, diciamoci la verità, il vero problema – la terza ragione – è che non abbiamo voglia di ascoltare il bisogno che sta sotto le vecchie abitudini. Perché siamo troppo abituati a rimpicciolirci, anziché a crescere. E crediamo che fare così sia più comodo.
Così, per crescere impariamo a dire grazie, come fanno i bambini, quando ricevono qualcosa che ci fa bene e a dire no, grazie quando ci rendiamo conto che accettare ci farebbe male!
© Nicoletta Cinotti Con grazia, grinta e gratitudine
Grazie per questo post dove si intersecano i processi di gratitudine e di abitudine. In particolare, dovremmo imparare a costruire un nuova abitudine o destrutturare una vecchia, con una progressione (alcune parlano del concetto di 1%) che consenta da un lato di non sentire lo sforzo del cambiamento e dall'altro di essere grati per piccoli risultati raggiunti, ma con costanza. Purtroppo capita spesso che la striscia positiva di curare una abitudine si interrompa e di lì sembra che tutto sia perduto. Bisogna sapersi perdonare, e riprendere. Fosse facile come scriverlo, saremmo tutti più disciplinati, ma la pratica è altra cosa. Un saluto!
Grazie di questo post e delle tue parole, parlare di gratuità è difficile, spesso non si viene compresi, anche io faccio tante cose gratis perché mi dà soddisfazione farle, quello che mi chiedo; non è forse una forma di egoismo o narcisismo nei nostri confronti?