La mattina al risveglio il primo sguardo allo specchio è sempre un po’ drammatico. Mi guardo e quasi non mi riconosco come se avessi lottato tutta la notte con qualcosa di pazzesco dentro di me. Capisco perché Chandra Candiani si definiva bambina pugile, al risveglio. Ma quello che è più interessante è che quel viso non mi suscita particolare simpatia e non vedo l’ora di sistemarlo.
Poi qualche tempo fa, mentre stavo preparando il laboratorio “Vulnerabili guerrieri”, mi è tornata in mente la mia bambola preferita. Si chiamava Lucia, era una bambola rigida, di plastica, con gambe e braccia staccabili e senza un occhio. Descritta così non era certo un bel vedere eppure io l’ho amata tantissimo e finivo sempre per giocare con lei anche se era già in commercio il fatidico “Ciccio bello”, molto più morbido e rivoluzionario perché aveva più o meno la taglia di un neonato.
Io però insistevo per volere lei e credo che anche tu ricorderai qualche gioco che hai amato malgrado portasse tutti i segni dell’uso. Perché l’amore consuma, l’amore trasforma, e, qualche volta, invecchia ma ciononostante continui a vedere l’amore e non i segni del tempo.
Il cerchio ristretto delle cose che contano davvero
C’è qualcosa di profondamente umano in questa tendenza a tenere stretto ciò che amiamo, anche quando il mondo ci offre alternative più nuove e apparentemente migliori. Robin Dunbar, l’antropologo che ha scoperto il famoso “numero 150”, ci insegna che il nostro cervello è programmato per mantenere relazioni significative con un numero limitato di persone – circa 150 conoscenti, 50 amici, 15 amici stretti, e solo 5 persone veramente intime.
Ma quello che Dunbar forse non aveva previsto è che questa selettività naturale si applica anche agli oggetti, ai ricordi, alle storie che portiamo con noi. Come quella bambola Lucia, che occupava uno spazio speciale nel mio cerchio intimo fatto di cose amate, nonostante – o forse proprio a causa di – le sue imperfezioni.
Così mi è sembrato normale invitare chi partecipava a portare i suoi giocattoli vecchi e non tutti avevano modo di portarli ma tutti si sono ricordati di qualche personaggio che ancora riposa negli scaffali di casa, trattato con il rispetto dovuto a qualcuno o qualcosa che si è tanto amato.
Il paradosso dello specchio e l’effetto positività
Allora perché il mio viso allo specchio non mi fa lo stesso effetto? Perché vorrei che fosse sempre nuovo? Perché condivido una convinzione, fallace quanto resistente, che amiamo solo quello che è perfetto. Una convinzione che ci rende vulnerabili all’età, alle ferite, ai graffi che la vita ci provoca, all’infelicità che rimane appiccicata sul viso come un francobollo.
Laura Carstensen, psicologa di Stanford, ha passato decenni a studiare come cambiamo emotivamente invecchiando. Ha scoperto qualcosa di rivoluzionario: più invecchiamo, più diventiamo bravi a concentrarci sulle cose positive e a lasciar andare quelle negative. Lo chiama “effetto positività” – una sorta di superpotere che sviluppiamo con l’età, la capacità di editare la realtà per estrarne il succo dolce.
Il problema è che questo superpotere funziona meglio con gli altri che con noi stessi. Vediamo l’amore nelle cose amate malgrado i segni del tempo, ma davanti allo specchio dimentichiamo di applicare la stessa gentilezza. Dimentichiamo che anche noi siamo stati amati malgrado e forse proprio grazie ai nostri graffi.
L’arte della selettività emotiva
Carstensen ha scoperto che quando percepiamo il tempo come limitato – cosa che succede naturalmente invecchiando, ma anche in momenti di crisi – automaticamente riorganizziamo le priorità. Smettiamo di inseguire nuove conoscenze o esperienze e ci concentriamo su ciò che ha significato emotivo. È come se il nostro cervello attivasse un filtro speciale che dice: “Non c’è tempo per le sciocchezze, teniamo solo quello che scalda il cuore.”
Fortunatamente non avevamo solo i nostri giocattoli vecchi. Avevamo anche qualche supereroe che aveva il compito, piuttosto arduo, di convincerci che valesse la pena crescere e che, crescendo, la kriptonite e le difficoltà che tutti i supereroi attraversano, si sarebbero trasformati in superpoteri.
E forse, nel mio caso, è stato proprio così. Come Lucia sono abbastanza cieca da un occhio ma le difficoltà che ho incontrato mi hanno dato abbastanza grinta per crescere e imparare a non mollare. Mi hanno dato determinazione e tenacia perché ci genera nostra madre ma poi ci alleva il vento, le tempeste, la sabbia che abbiamo incontrato nel nostro percorso.
Quando il mondo ti crolla addosso diventa un supereroe
Ci sono stati diversi momenti in cui mi sono sentita mancare la terra sotto i piedi. Momenti in cui non avevo tante direzioni da prendere ma solo dei cocci da raccattare. Sono stati quelli i momenti in cui è tornato utile il mio supereroe, il mito della mia infanzia che mi ha accompagnato per darmi un’idea di cosa poteva voler dire crescere. Non gli assomigliavo ma la sua compagnia mi ispirava e mi dava indicazioni utili per non mollare.
Anche questa non è una mia specialità. Un collega che è anche un amico ha una passione per Jovanotti, per lui è il suo supereroe e quando Jovanotti ha avuto il terribile incidente in bicicletta, anche il mio collega ha avuto un momento molto difficile e vedere tornare Lorenzo sul palco è stato come un modo per credere che anche per lui sarebbe stato possibile tornare “sul palco”.
La matematica dell’amore e della perdita
Oscilliamo tutti tra la tenerezza e la grinta e non possiamo rinunciare a nessuna delle due, soprattutto non possiamo rinunciarci con il passare del tempo. È qui che le scoperte di Dunbar si fanno improvvisamente intime e personali. Quel numero 150 non è solo una statistica, è il confine naturale della nostra capacità di amare attivamente.
Con il passare del tempo abbiamo bisogno di passare dai supereroi dei fumetti o dello spettacolo ai supereroi che hanno accompagnato la nostra vita. E qui la matematica di Dunbar si fa crudele e consolante allo stesso tempo: perdere degli amici è un lutto, qualcuno lo perdi per strada perché la vita ti separa. Qualcuno l’ho perso perché il suo treno si è fermato in una stazione molto prima della mia.
Ma so che non vorrei mai arrivare a sentire che nella vita sono senza amici perché vorrebbe dire che sono senza speranza. Vorrebbe dire che quella trasformazione magica dei supereroi che diventano amici non è avvenuta e che allora sì che siamo fragili. Perché tutti siamo vulnerabili ma se siamo soli diventiamo anche fragili.
Il cerchio che si restringe e si approfondisce
La teoria della selettività socioemotiva di Carstensen ci insegna che questo restringimento non è una perdita, ma una strategia. Come giardinieri esperti, impariamo a potare per far fiorire meglio. Quelle 5 persone del cerchio più intimo diventano i nostri veri supereroi – non perché hanno superpoteri, ma perché sono rimasti quando tutto il resto crollava.
E forse questo è il vero superpotere che sviluppiamo crescendo: la capacità di riconoscere che la vulnerabilità condivisa è più forte della forza solitaria. Come la mia bambola Lucia, che era perfetta proprio perché imperfetta, noi diventiamo supereroi non malgrado le nostre cicatrici, ma grazie ad esse.
Quelle cicatrici sono la mappa di tutti i momenti in cui qualcuno ci ha raccolto quando eravamo a pezzi. Sono la prova che siamo stati amati non per come apparivamo, ma per come eravamo. E se impariamo a guardare il nostro viso allo specchio con gli stessi occhi con cui guardavamo Lucia, forse scopriremo che anche noi, come lei, siamo stati perfetti tutto questo tempo.
Proprio come quando eravamo bambini e non sapevamo ancora che amare significa anche imparare a vedere la bellezza nei segni del tempo, nelle battaglie vinte e perse, nelle imperfezioni che raccontano storie di resistenza. Il nostro viso allo specchio non è diverso dalla bambola Lucia: porta i segni dell’amore che ha ricevuto e dato, ed è bellissimo proprio per questo.
Perché alla fine, forse l’unico vero superpotere è questo: imparare a essere vulnerabili guerrieri, forti abbastanza da restare teneri in un mondo che spesso ci chiede di indurirci. Vulnerabili guerrieri avrà un sequel a Milano, presso la Fondazione Il Lazzaretto, il 28 settembre. L’iscrizione sarà a prezzo ridottissimo perché finanziata dalla fondazione stessa che ringrazio. trovi tutte le informazioni qui per “Se il mondo ti crolla addosso. Ansia e piacere”
© Nicoletta Cinotti 2025